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Cosa rimane delle case occupate di Ginevra?

Il 12 luglio oltre 500 persone hanno manifestato il loro sostegno ai residenti dello squat Rhino Keystone

Ginevra si è a lungo distinta dalle altre città svizzere per la sua politica liberale in materia di case occupate (squat). Un atteggiamento oggi scomparso.

Questo contenuto è stato pubblicato il 20 luglio 2007 - 08:02

Il movimento degli squatter, rileva il sociologo Luca Pattaroni, ha evidenziato i limiti del diritto di proprietà e il bisogno attuale di una partecipazione degli abitanti alla pianificazione dei loro alloggi. Intervista.

L'evacuazione di uno squat la settimana scorsa e le minacce che incombono sul centro autogestito Rhino (il più vecchio della città, nonché il più emblematico della cultura squat) confermano il cambiamento di rotta delle autorità ginevrine a riguardo dell'occupazione illegale di immobili.

A partire dagli anni '80, una politica di tolleranza nei confronti degli squat aveva permesso un importante sviluppo del movimento, in quello che è stato un caso molto particolare in Svizzera, forse in tutta Europa.

Una radiografia di questa esperienza di convivenza alternativa ci è offerta da Luca Pattaroni, ricercatore al Laboratorio di sociologia urbana del Politecnico federale di Losanna (Vaud).

swissinfo: Stiamo assistendo alla scomparsa definitiva degli squat a Ginevra?

Luca Pattaroni: Senza sostegno politico, il movimento degli squatters rischia in effetti di scomparire. Potrebbe ad ogni modo riemergere sotto altre forme, come le sue manifestazioni culturali.

swissinfo: Ci sono altre città svizzere che conoscono un fenomeno simile?

L.P.: Gli squat esistono a Zurigo, Basilea, Losanna o Friborgo. In queste città il loro numero non ha tuttavia mai superato la decina, nemmeno quando il movimento in favore dei centri autogestiti ha toccato il suo apice negli anni Ottanta.

Ginevra rappresenta quindi un caso particolare. Durante gli anni '90, in città si contavano fino a 160 luoghi occupati.

swissinfo: In cosa gli squat ginevrini si differenziano dagli altri?

L.P.: Lo sviluppo degli squat è stato favorito, a partire degli anni '80, da una politica di tolleranza limitata da parte delle autorità locali. Queste hanno lasciato che gli immobili disabitati della città e del cantone venissero occupati, ad esempio stipulando dei contratti di fiducia e sospendendo le evacuazioni degli stabili squattati, fossero essi di proprietà pubblica o privata.

Questa apertura è stata una conseguenza delle lotte politiche degli anni Settanta e della resistenza suscitata dai piani di trasformazione di alcuni quartieri, giudicati tecnocratici e sprezzanti nei confronti degli abitanti.

swissinfo: Il movimento squat è dunque, in primo luogo, un affare politico?

L.P.: Esso si è sviluppato in tutta la città in risposta alla speculazione immobiliare. Questa lotta ha ricevuto ampio sostegno dalla popolazione e dai partiti di sinistra, ciò che ha permesso di legittimare un'azione illegale.

Questo contesto e questa legittimità politica sono gli elementi principali che mancano oggi al movimento squat di Ginevra.

swissinfo: Quali altre forme ha assunto il fenomeno?

L.P.: Rispetto ai centri autogestiti di Zurigo - molto militanti - quelli di Ginevra si sono caratterizzati per la loro grande diversità.

Ne sono emerse tre forme: lo squat rifugio per le persone in situazione precaria e per i sans papier (clandestini), lo squat politicizzato vicino agli ambienti trotzkisti o anarchici - ostili alla proprietà privata - e lo squat culturale. Quest'ultimo ha favorito l'emergere di una scena artistica rigogliosa (teatri, concerti, bar, gallerie,...). Da questo tipo di centro sociale è ad esempio nato il Teatro Malandro d'Omar Porras, oggi noto in tutta Europa.

Queste tre forme si sono poi mescolate, creando tensioni tra i fautori di concezioni comunitarie più o meno aperte sulla città.

swissinfo: Ma chi sono in definitiva quelli che chiamiamo «squatters»?

L.P.: All'inizio si trattava per lo più di studenti legati alla sinistra del post '68, ai quali si sono associati numerosi sostenitori. In seguito sono arrivati i migranti dell'America latina e dell'Europa centrale.

Ci sono poi anche stati giovani provenienti da famiglie agiate. Alcune inchieste hanno tuttavia evidenziato che la maggior parte degli squatter vivevano, e vivono tutt'ora, con bassi redditi e hanno origini sociali piuttosto variate.

swissinfo: Come vede il futuro del movimento a Ginevra e nel resto della Svizzera?

L.P.: Esso pone l'interrogativo del diritto all'alloggio di fronte al diritto di proprietà. Gli squatter rivendicano infatti una diversità nei modi di vivere e di abitare.

Questa problematica concerne anche gli inquilini in Svizzera, i quali non osano intervenire sulla pianificazione e la disposizione della loro abitazione. La filosofia degli squatter auspica inoltre una partecipazione più attiva dei cittadini nella politica della città.

Concretamente, le cooperative di abitazione costituiscono uno degli sviluppi più probabili, siccome godono dell'appoggio dei deputati di destra. D'altronde, sono già molto sviluppate nella Svizzera tedesca (18% degli alloggi di Zurigo) e consentono una partecipazione degli abitanti alla concezione dello stabile e al suo funzionamento sulla base di elementi di vita comunitaria.

swissinfo, intervista di Frédéric Burnand, Ginevra
(traduzione dal francese: Luigi Jorio)

Gli squat in Svizzera e nel mondo

Il movimento squat di Ginevra, nato negli anni '70, si è sviluppato parallelamente a quelli fioriti a New York, Berlino, Amsterdam o Copenhagen. In queste città, gli abitanti hanno voluto sviluppare dei modi di vita alternativi.

Al suo culmine negli anni '90, il movimento era presente a Ginevra con 160 luoghi occupati da oltre 2'000 persone. Oggi la città ne conta soltanto 27.

Nei paesi del Sud, quando si parla di «squat» ci si riferisce soprattutto a terreni occupati sui quali sono cresciuti dei quartieri auto-costruiti (bidonvilles o baraccopoli) e in cui vivono i più poveri.

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