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In piena tempesta, la marina svizzera spegne 75 candeline

Il Moleson, un cargo svizzero che può trasportare migliaia di tonnellate di merci. swiss-ships.ch

Il trasporto marittimo mondiale attraversa una delle crisi più gravi della sua storia. Difficoltà che colpiscono anche gli armatori che battono bandiera svizzera. Mentre si celebrano i tre quarti di secolo di esistenza della flotta commerciale elvetica, oscure nubi si profilano all’orizzonte. 

Questo contenuto è stato pubblicato il 03 giugno 2016 - 11:00
swissinfo.ch

Sono battezzate con il nome di celebri personalità o montagne svizzere, come Generale Guisan, Cervino, Moléson o Monte Rosa. In tutti i mari del mondo, vi sono dei cargo con pennoni sui quali sventola la bandiera rossocrociata. Mentre la maggior parte delle navi commerciali tedesche, francesi o spagnole navigano da tempo battendo bandiere di comodo, come quella panamense o liberiana, la Svizzera può vantarsi di possedere da 75 anni una sua flotta commerciale.

I criteri per battere bandiera svizzera

Per immatricolare un’imbarcazione con la bandiera svizzera, è necessario che il 51% degli azionisti proprietari della nave siano d’origine elvetica e domiciliati in Svizzera.

L’armatore non ha inoltre il diritto di vendere la nave per cinque anni se ha beneficiato della garanzia della Confederazione. 

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Certo, con 49 navi e una capacità di trasporto mondiale che non supera l’uno per mille di quella mondiale, la Confederazione non può rivaleggiare con le marine greca o maltese, che hanno migliaia di cargo d’alto mare. Ciò non toglie che la Svizzera possiede comunque la più grande flottiglia al mondo tra i paesi che non hanno accesso al mare, davanti alla Mongolia.

Una curiosità che è spesso poco conosciuta dagli stessi svizzeri e le cui origini risalgono alla Seconda guerra mondiale. «Si trattava di assicurare l’approvvigionamento di beni di prima necessità durante il conflitto. La bandiera svizzera, simbolo di neutralità, doveva permettere di evitare i bombardamenti e i siluri dei sottomarini tedeschi e alleati», spiega il giornalista Olivier Grivat, co-autore del libro «Marina svizzera: 75 anni sugli oceani», recentemente pubblicato dalle éditions ImagineLink esterno.

Garanzia rimessa in discussione

Tre quarti di secolo più tardi, la missione della marina svizzera non è cambiata. Il suo ruolo è tuttora di approvvigionare la Svizzera di merci che potrebbero mancare in caso di grave crisi. Almeno sulla carta. L’unica volta nella storia in cui si è dovuto mobilitare la flotta svizzera è stato quasi 50 anni fa, durante la guerra dei Sei Giorni tra Israele da una parte ed Egitto, Siria e Giordania dall’altra.

Malgrado ciò, le sei società private che possiedono e sfruttano queste navi devono ancora oggi essere pronte a cambiare il carico e la rotta su ordine di Berna.

In cambio di questa flessibilità, la Confederazione – senza sovvenzionare la flotta in quanto tale – dà delle garanzie di prestito (fino a 1,1 miliardi di franchi) per aiutare gli armatori a finanziare l’acquisto di nuovi bastimenti. Grazie a questa garanzia, gli armatori svizzeri possono ottenere tassi d’interesse molto favorevoli presso le banche.

Questo credito quadro, che scade nel giugno 2017, è però contestato a livello politico. Non è per nulla sicuro che il Consiglio federale (governo) si pronuncerà a favore di un suo rinnovo. A Basilea, porto di armamento virtuale della marina mercantile svizzera (nessuna nave di alto mare ha però mai risalito il Reno) e sede dell’Ufficio svizzero della navigazione marittima (USNM),Link esterno Reto Dürler ammette che i tempi sono cambiati. «Con la liberalizzazione e la mondializzazione degli scambi, avere una flotta svizzera non è più così necessario come all’epoca. Tocca ora al mondo politico decidere se vuole o meno mantenere questa bandiera e in che forma», afferma il direttore dell’USNM.

«Più grande recessione della storia»

Potrebbe però essere un’altra ragione a spingere la Confederazione a non rinnovare il suo sostegno finanziario indiretto: il rischio sempre più grande di dovere per la prima volta nella storia mettere mano al portafoglio per aiutare degli armatori svizzeri in difficoltà.

I marinai svizzeri, una specie in via d’estinzione

Sulle 49 navi battenti bandiera elvetica sono imbarcati 868 marinai, ma solo sei di loro hanno il passaporto svizzero. Nel 1967 erano invece ben 611 i marinai rossocrociati.

Negli ultimi decenni, il mestiere è diventato molto meno attraente, spiega Reto Dürler, direttore dell’Ufficio svizzero della navigazione marittima. «Oggi i giovani possono esplorare il mondo grazie ai voli a buon mercato, senza doversi allontanare dalla loro famiglia per mesi. Lo stress a bordo, i salari bassi, gli scali brevi e dei porti sempre più spesso lontani dalle città hanno pure scoraggiato le candidature svizzere».

Negli anni 1990 vi è stato un soprassalto, con l’ingaggio di diverse centinaia di giovani marinai svizzeri. Per un periodo di cinque anni, la Confederazione aveva in effetti deciso di pagare la differenza di salario percepito a bordo con quello ricevuto a terra per lo stesso mestiere. Un’epoca ormai passata. Il modesto credito di 20'000 franchi concesso da Berna ai giovani svizzeri che seguono una scuola all’estero per diventare ufficiali di marina sarà cancellato nel quadro del prossimo programma di risparmi della Confederazione.

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«Il trasporto marittimo sta attraversando la più grave recessione della sua storia. Tutti gli armatori – svizzeri o stranieri – sono toccati», rileva Eric André, presidente dell’Associazione degli armatori svizzeri (AAS) e della Società Svizzera-AtlanticoLink esterno. La causa è legata al crollo dei corsi delle materie prime e al numero troppo elevato di navi – sempre più grandi – varate dagli anni fasti tra il 2003 e il 2008.

Le cifre messe in avanti da Eric André, che con le sue 16 navi gestisce la più grande flotta battente bandiera svizzera, sono senza appello: «Alla fine del 2008, prima della crisi economica mondiale, il noleggio per una nave di 70'000 tonnellate poteva andare fino a 100'000 dollari al giorno. Oggi, la media è di 3'500 dollari, allorquando i costi d’esercizio ammontano a 6'500 dollari, senza contare gli ammortamenti e gli interessi. Ogni giorno gli armatori del mondo intero perdono enormi somme di denaro».

Eric André non vuole esprimersi sulla situazione degli altri armatori svizzeri, anche se dietro alle quinte si mormora che uno di essi sarebbe sull’orlo del precipizio. Un salvataggio finanziario da parte di Berna in quanto creditrice di ultimo ricorso significherebbe la fine del sostegno alla politica di garanzia e di riflesso la fine della marina svizzera, afferma Olivier Grivat. «Questo perché l’unico vero motivo che spinge gli armatori a battere bandiera svizzera è la garanzia finanziaria concessa dalla Confederazione», osserva il giornalista.

Più piccola ma sempre presente

La bandiera rossocrociata è forse un marchio di qualità, una garanzia che la merce arriverà in porto senza subire danni. Questo non è però un argomento sufficiente nel mercato ultraconcorrenziale del trasporto marittimo. La prova? La maggior parte degli armatori presenti su territorio elvetico, come la Mediterranean Shipping Company (MSC), che possiede i quattro più grandi portacontainer del mondo, navigano battendo bandiere straniere.

Reto Dürler rifiuta però di credere che la fine della marina svizzera sia vicina. «Con 49 navi abbiamo probabilmente raggiunto l’apice. Se il credito di garanzia non è rinnovato, la flotta sarà ridimensionata, ma non scomparirà. Per decenni, da 15 a 25 bastimenti navigavano battendo bandiera svizzera. È una cifra assolutamente rispettabile per un paese che non ha accesso al mare».

Un rischio per la reputazione della Svizzera?

La Radiotelevisione svizzera di lingua francese (RTS) ha rivelato a fine aprile che un tanker battente bandiera svizzera aveva trasportato a tre riprese nel 2015 del diesel verso un porto nelle mani del regime siriano di Bashar al-Assad. Una transazione legale, poiché il diesel non figurava sulla lista dei beni toccati dalle sanzioni svizzere. Tutto ciò ha però suscitato critiche da parte di diversi parlamentari, che hanno puntato il dito contro una «breccia» nel dispositivo legislativo elvetico.

«Il caso è stato chiarito d’intesa con le altre istanze della Confederazione; è stato appurato che tutte le procedure erano state rispettate», spiega Reto Dürler. «Abbiamo contatti molto regolari con gli armatori per assicurarci che non effettuino trasporti che potrebbero nuocere alla reputazione della Svizzera. Gli armatori sono sensibili alla questione e non corrono rischi senza consultarci».

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Perchè il governo svizzero deve sostenere le società private che gestiscono le navi che battono bandiera elvetica? Dite la vostra.

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