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Alla ricerca dell'italianità in terra elvetica

Renato Martinoni, studioso di letteratura italiana, scrittore e traduttore Daniel Ammann

Un viaggio alla scoperta della lingua e della cultura italiana in Svizzera, seguendo in parte le tracce dei grandi interpreti della letteratura italiana che hanno vissuto per mesi o anni sul suolo elvetico. È l'allettante invito proposto da Renato Martinoni, nella sua ultima opera "L'Italia in Svizzera".

Questo contenuto è stato pubblicato il 14 luglio 2010 - 10:50

Ugo Foscolo, Francesco De Sanctis, Piero Chiara, Vittorio Sereni o Leonardo Sciascia, solo per citarne alcuni. Oltre a figurare tra i nomi più illustri della cultura italiana condividono ancora qualcosa d'altro: hanno trascorso parte della loro vita in Svizzera. Attratti dalla realtà e dal paesaggio elvetico o spesso costretti a trovarvi rifugio, questi autori hanno dato nel corso dei secoli un loro contributo per costruire un ponte tra Svizzera e Italia.

Con il suo volume, Renato Martinoni cerca di ispezionare e cucire quella sottile cerniera culturale che lega i due paesi, analizzando non solo i punti in comune, ma anche le frontiere e le incomprensioni che hanno separato e continuano a separare l'Italia della Svizzera.

"Non credo di sbagliarmi quando dico che la Svizzera conosce meglio l’Italia di quanto l’Italia conosca la Svizzera”, scrive Renato Martinoni, titolare di una cattedra di letteratura italiana all'Università di San Gallo.

swissinfo.ch : Suo padre è ticinese e sua madre veneta. Questa sua origine svizzera e italiana ha influito sulla sua volontà di scrivere questo libro sulla lingua e la cultura italiana in Svizzera?

Renato Martinoni: Gli umori veneto-ticinesi hanno probabilmente sviluppato in me un certo tipo di sensibilità per un certo tipo di interessi. Vorrei però fare un'osservazione. Di solito sono i linguisti che parlano della lingua. Ma dietro una lingua ci sono molte cose, perciò a studiare compiutamente il fenomeno ci vogliono anche altre competenze, altre prospettive di indagine, altre forme di sensibilità. È quello che ho cercato di fare.

Ho dato pertanto sì un quadro della situazione della lingua italiana in Svizzera, oggi e nelle sue dinamiche storiche e sociali; ma ho cercato anche di vedere, da un punto di vista culturale e antropologico, cosa c'è dietro l'«italianità» in territorio elvetico: di capire perché gli svizzeri mangiano tanta pasta, bevono il Prosecco, vestono all'italiana e usano parole italiane. È un fenomeno che ha pochi riscontri del genere in altri paesi della Terra.

swissinfo.ch: La Svizzera è molto vicina all'Italia, ma per alcuni aspetti sembra molto lontana. Come è il suo "confine" italo-svizzero?

R.M: Da molti anni, vivendo in Svizzera ma avendo sempre gli occhi aperti sull'Italia, mi muovo intorno ai confini. I confini, si sa, non sono solo politici: sono linguistici, culturali, sociali e via dicendo. Mi sono spesso e volentieri occupato di viaggi, di gente che viaggia, di uomini inquieti, di incontri e scontri fra culture diverse. Non mi interessano troppo le storie di gente sempre vissuta all'ombra delle bandiere nazionali (per non dire nazionalistiche).

Quanti italiani, uomini di cultura e no, sono venuti in Svizzera? E quanti intellettuali hanno potuto beneficiare di queste esperienze? Prendiamo il caso di Francesco De Sanctis, professore dal 1856 al 1860 al Politecnico federale di Zurigo. Dalle sue lettere esce un quadro piuttosto malinconico degli anni elvetici. Ma dal profilo culturale quell'esperienza è stata determinante.

Il «mio» confine italo-svizzero? Beh, ho studiato in Svizzera e in Italia, insegno in Svizzera ma ho insegnato anche in Italia, da svizzero guardo all'Italia con sentimenti, non posso nasconderlo, piuttosto alterni. C'è chi vede solo l'Italia della cultura e chi vede solo l'Italia della politica. Nella mia indagine ho cercato di offrire un quadro forse più «impegnato», ma anche non di comodo. Non sono un discepolo del compromesso e non avrei mai potuto fare il diplomatico di mestiere.

swissinfo: Quali aspetti colpiscono maggiormente delle svariate esperienze degli uomini di cultura italiani che, in epoche e in modi differenti, viaggiano o soggiornano in Svizzera?

R.M: Colpisce l'attrattività di cui gode la Svizzera. Per questioni politiche (di libertà politiche), ma anche per altri motivi di cui si parla meno: la ricchezza culturale di certe abbazie, la possibilità di accedere senza censure a importanti fondi librari, l'incontro di lingue e di culture, gli sviluppi delle scienze pedagogiche, la natura dei luoghi (si pensi alle Alpi).

Dapprima sono gli italiani che scoprono la Svizzera; poi, grazie anche all'immigrazione dei lavoratori, è l'«italianità» a entrare nella vita sociale elvetica e, checché se ne dica, a permearla in maniera tangibile.

swissinfo.ch: Lei da svizzero italiano come vive la Svizzera?

R.M: La Svizzera sta vivendo gli stessi problemi che stanno soffrendo anche altri paesi. Finalmente tutti o quasi si sono accorti che non è un'isola felice in mezzo alle onde del mare. I paradisi sulla terra non esistono (eccezion fatta, forse, per quelli «fiscali»).

Il nostro paese è però in grado, per fortuna, di risolvere democraticamente le questioni che lo investono: grazie a una lunga tradizione che non è mai venuta meno, anche se tante cose cambiano e certi valori si stanno perdendo per fare posto ad altri valori. Ma questo non toglie che comunque si viva in un paese tutto sommato rispettoso e aperto.

Quanto ai «confini»: mi fanno più paura quelli mentali che quelli politici. Soltanto il confronto con altre realtà, il dialogo franco, le aperture non di facciata possono aiutare. Fatto sta che al posto dei vecchi Stati nazionali sembrano emergere il globale e il locale: cioè ciò che è generico e ciò che è parrocchiale.

Dobbiamo insomma prepararci, per dirla con un'espressione che mi piace poco, ad «affrontare nuove sfide». Speriamo di poterlo fare con il supporto della vera cultura, non con il linguaggio di plastica della televisione.

Ambra Craighero, swissinfo.ch Venezia

Renato Martinoni

Nato nel 1952 a Minusio, nel canton Ticino, Renato Martinoni si è laureato nel 1979 in letteratura all'Università di Zurigo.

Dopo vari soggiorni di studi in Italia, ha assunto numerosi incarichi di insegnante al Politecnico di Zurigo e alle Università di Zurigo, San Gallo, Losanna e Venezia (Cà Foscari).

Numerose le opere pubblicate a Renato Martinoni in questi ultimi 30 anni: da studi sul collezionismo d'arte in epoca barocca a saggi sulla letteratura del Settecento riformatore, sulla poesia dialettale o sulle relazioni culturali tra l'Europa e l'Italia.

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L'Italia in Svizzera

Edito da Marsilio, il libro "L'Italia in Svizzera" rievoca le complesse impronte della lingua italiana in territorio elvetico e le relazioni culturali tra i due paesi.

Lo studio ripercorre le esperienze e le tracce lasciate in Svizzera di numerosi illustri rappresentanti della cultura italiana – dall'umanista Poggio Bracciolini ad Alessandro Volta, da Ugo Foscolo a Francesco De Sanctis – che in epoche diverse hanno viaggiato o soggiornato sul suolo elvetico.

Orme che si sono arricchite nel Novecento con la presenza nella Confederazione di numerosi poeti e scrittori italiani, tra i quali Dino Campana, Salvatore Quasimodo, Vittorio Sereni, Piero Chiara, Leonardo Sciascia.

Chiude il volume il ricordo di un filologo a lungo attivo a Zurigo, il «gran lombardo» Dante Isella.

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