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Anniversario sottotono per un’UE fragile, ma che resiste

25 marzo 1957. Germania, Belgio, Francia, Italia, Lussemburgo e Paesi Bassi firmano a Roma due trattati, dando vita alla Comunità economica europea e alla Comunità europea dell'energia atomica. Keystone

Cosa celebrare per i 60 anni dal Trattato di Roma, se l’Unione europea appare più fragile che mai? Per quanto affaticata - osserva il professor René Schwok, profondo conoscitore delle istituzioni di Bruxelles - la costruzione europea ha attraversato crisi più gravi di quella attuale.

Questo contenuto è stato pubblicato il 24 marzo 2017 - 11:00
Frédéric Burnand, Ginevra, swissinfo.ch

Il Libro biancoLink esterno presentato il 1° marzo dal presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker non ha raccolto grandi consensi. Le sue proposte per rilanciare il progetto europeo, secondi i critici, mancano di respiro e non sono che una ripresa di vecchie idee. Come quella di un’Europa a più velocità con un nucleo aggregativo costituito da Germania e Francia.

Avrebbe potuto, Jean-Claude Juncker, sostenere le sue convinzioni federaliste con un progetto europeo più ambizioso? "Senza dubbio ha voluto evitare di gettarsi in pasto ai lupi mentre in Francia e Germania si avvicinano scadenze elettorali cruciali per l’avvenire dell’UE", commenta René Schwok, direttore del Global studies instituteLink esterno di Ginevra ed esperto di integrazione europea.

L’epoca d’oro

Di fatto, lo slancio dato alla fine del secolo scorso dal cancelliere tedesco Helmut Kohl, dal presidente francese François Mitterrand e dal presidente della Commissione europea Jacques Delors si è esaurito.

"Si è trattato in effetti dell’epoca d’oro della costruzione europea. Un'epoca legata alle forti personalità di Kohl, Mitterrand et Delors, ma anche al contesto favorevole che si era creato con la caduta del muro di Berlino", osserva Schwok, che ha appena pubblicatoLink esterno il saggio "La construction européenne contribue-t-elle à la paix?" [La costruzione europea contribuisce alla pace?].

René Schwok UNIGE

Dopo aver adottato l’Atto unico europeo nel 1986 e il Trattato di Maastricht nel 1992, la Comunità europea diventa Unione europea con la prospettiva di creare un’unione economica e monetaria con una divisa unica, l’euro, impiegato oggi da 19 paesi su 28 membri dell’UE (27 senza il Regno Unito).

I tempi della crisi

Il meccanismo si è spezzato negli anni 2000 col fallimento della Costituzione europea, la crisi economica e finanziaria del 2008 –che ha fortemente scosso l’UE, ricorda René Schwok – e in seguito con la crisi dell’euro, la crisi greca, quella più recente dei rifugiati, la Brexit e l’avanzata dei partiti euroscettici in diversi Stati membri.

"La crescita dei populismi resta il più grande pericolo per l’Unione", sottolinea Schwok, anche se le recenti elezioni nei Paesi Bassi –con un risultato peggiore del previsto per il leader d’estrema destra Geert Wilders- dimostrano che l’avanzata populista non è inesorabile.

"La storia ci insegna che tutto è possibile e le difficoltà restano grandi, per l’Europa. Ma da troppo tempo il dibattito sull’UE è esagerato e catastrofista. Ogni volta che ci sono problemi nell’Unione, molti commentatori –giornalisti, esperti, politici- annunciano la fine dell’UE o dell’euro. Queste previsioni non si sono mai realizzate."

Non è tutto. La Russia di Vlamidir Putin si intromette nei processi elettorali europei con la sua macchina della propaganda e il sostegno a partiti anti-europeisti.

"È una novità", commenta René Schwok, "ma non abbiamo il distacco necessario per valutare l’effetto di questi interventi. Le manipolazioni di Putin possono indebolire l’UE dall’interno, ma anche avere l’effetto opposto e favorire la marginalizzazione di questi partiti, se sono percepiti come pedine di Putin".

Un’Europa ultra liberale?

Tra le critiche ricorrenti verso l’UE spicca quella verso la politica economica di Bruxelles, troppo liberale agli occhi della sinistra e della destra sovranista.

Una critica eccessiva, secondo Schwok. "Contrariamente a quel che sentiamo spesso, l’UE non è puramente neoliberale come lo si può essere negli Stati Uniti, in Asia e in buona parte del resto del mondo. Fin dagli inizi, la costruzione europea si rifà piuttosto al liberalismo sociale. Sostiene il libero scambio, è a favore della concorrenza e contro il protezionismo, ma questa apertura dei mercati è accompagnata da politiche ambientali, di salute e sicurezza sociale. Non è un liberalismo sfrenato. Teniamo presente che i paesi europei sono i più sociali al mondo. Ma gli Stati non hanno voluto che queste competenze sociali fossero delegate all’Unione".

Carenze democratiche nell’UE?

Un’altra critica spesso avanzata nei confronti dell’Unione è l’assenza di voto popolare sulle misure decise da Bruxelles, così come la mancanza di elezioni paneuropee che possano meglio legittimare gli organi dell’UE.

René Schwok condivide questo punto, ma con riserva: "Una democrazia partecipativa e la possibilità di referendum popolari per rimettere in discussione leggi adottate permetterebbero di creare un grande dibattito europeo. Tuttavia è difficile immaginare tali consultazioni a livello continentale, poiché non esistono neppure nei paesi membri. E quando questi paesi consultano i cittadini attraverso un referendum, lo fanno con intento plebiscitario".

Per inciso, in Svizzera il governo non può indire referendum. O è il diritto a imporlo, come nel caso di una modifica della Costituzione, oppure è chiesto da un gruppo di cittadini.

Esiste, a dire il vero, un diritto d’iniziativa anche per i cittadini europei, ma è più assimilabile a una petizione, come spiega René Schwok: "C’è la sola possibilità –per un milione di aventi diritto- di chiedere alla Commissione europea di redigere un progetto di legge. La Commissione può rifiutarsi, come perlopiù fa. Nel caso la proposta sia accolta, non è sottoposta al popolo, bensì al Consiglio dei ministri dell’UE e al Parlamento europeo. In Svizzera, per contro, è sottoposta al popolo anche quando il governo e il parlamento sono contrari, come spesso accade."

Detto questo, la partecipazione popolare al processo legislativo non mette la Svizzera al riparo dai dubbi, dai rigetti, dagli sbalzi d’umore che tormentano i cittadini dei paesi membri dell’UE. È solo che affiorano più velocemente sulla scena politica, attraverso la frequente consultazione degli elettori. Il fine movimento orologiero della democrazia elvetica riesce così a evitare scossoni.

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